CINEMA IS NOT DEAD. WE ARE.
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filmidee #15
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L'ultimo film del giapponese Koreeda è elegante, meditativo e preciso nel raccontare l’ingresso in famiglia di una sorellina acquisita, ma mancano lo scarto e la sintesi che caratterizzano le opere migliori del regista.
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Incursione nel sottogenere del found footage horror da parte di Shyamalan che sposta l’attenzione dal gioco sul fuori campo verso il cuore del suo stile, fondato sulla dialettica tra visibile e invisibile all’interno dell’inquadratura.
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A quasi vent’anni da Giro di lune tra terra e mare, il sorprendente ritorno di Giuseppe Gaudino nel lungometraggio di finzione: un problematico ritratto femminile e un cinema alle prese con il superamento dei propri limiti.
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Con un'opera all'insegna della libertà e del gioco, Marco Bellocchio inneggia alle ragioni di chi insegue il desiderio e la vita: nella discontinuità che non siamo disposti ad ammettere risiede il senso di un cinema a venire.
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Scomparso a montaggio ultimato, Claudio Caligari rinnova con partecipazione l’indagine della tossicodipendenza di borgata, dotando di afflato quasi epico la fratellanza e il doloroso destino dei suoi personaggi.
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Nel suo nuovo film, Yorgos Lanthimos si confronta con un mondo senza distanze, affidando a un conformista disfunzionale il compito di rifuggire l’inesorabile inquadramento all’interno del sistema.
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L’intero cinema di Naomi Kawase ruota attorno a delicati equilibri, abbracci che si ripetono ciclicamente ma sempre riletti secondo ottiche nuove: amore e abbandono, tradizione e modernità, genitori e figli, pubblico e privato.
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Come per la sospensione tra euforia e malinconia che riassume il suono del French touch, il film di Mia Hansen-Løve indaga lo spazio di elaborazione tra la fiaba di un eterno presente e la palingenesi che apre al futuro.
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Tra Bergman e la New Hollywood, il nuovo film di Alex Ross Perry rinnova l'indagine senza ritorno negli oscuri meandri della psiche. Al suo servizio, le ottime prove di Elisabeth Moss e Katherine Waterston.
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Il promettente esordio nel lungometraggio di Carlo Lavagna: un film di attese e mutazioni, di scoperte e rivelazioni, come quella del talento pulsante della sua giovane protagonista, Ondina Quadri.
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Il film di Luca Ferri sfugge a griglie interpretative troppo strette. Conviene piuttosto lasciarsi andare al suo fascino “primitivo”, all'incanto di una regia che sembra dimenticarsi di un oltre un secolo di storia del cinema.
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Orso d'Oro a Berlino 2015, il film di Jafar Panahi è l'ennesimo capitolo di un corpo a corpo con i dettami della repressione: un taxi si apre alla realtà della società iraniana, il cinema rinnova il proprio impegno di libertà.
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Omaggio definitivo di Del Toro ai suoi numi cinematografici e narrativi: un film piacevolmente anacronistico – seppure non del tutto riuscito – rispetto alle attuali tendenze di Hollywood in materia di spettri e case infestate.
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Il ritorno di Wenders al cinema di finzione propone un uso empatico del 3D e dei movimenti di macchina, ma l’intimità coi soggetti non sempre corrisponde all’esplorazione profonda della tragedia di cui sono protagonisti.
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Nel thriller di Denis Villeneuve, a regnare incontrastato è il primato dello spazio: il confine tra Messico e Stati Uniti diviene così il teatro di una storia senza redenzione, senza giustizia e, soprattutto, senza fine.
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Il film del regista olandese Anton Corbijn, dedicato al rapporto tra l'icona James Dean e il fotografo Dennis Stock, patisce tutti i limiti di uno sguardo raggelato ed estetizzante, incapace di soffiare vita sui personaggi.
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Un successo (quasi) unanime per il nuovo lungometraggio targato Pixar: merito di Pete Docter e Ronnie Del Carmen, che sondando le potenzialità dello storytelling tradizionale hanno raccontato le emozioni attraverso le emozioni.
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